La morte nell’arte. Memento Mori

Il tema della morte nell’arte è sempre stato spunto di riflessione per gli artisti, questo perché è da sempre un concetto misterioso che non si può spiegare in maniera razionale.

Memento mori – Ricordati che devi morire è un’antica locuzione latina che usiamo ancora oggi e che ha dato il nome ad alcune opere d’arte antichissime, come ad esempio un mosaico romano conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Morte nell’arte: pittura medievale

Il soggetto della morte nell’arte è stato rappresentato nel corso dei secoli con vari stili passando dapprima dall’antichissima tecnica del mosaico. Proprio l’opera presente a Napoli assunse un ruolo simbolico, anticipando quelle che saranno anche delle successive rielaborazioni sul tema.

In questo mosaico il teschio è appeso ad un filo di piombo che dondola sopra una farfalla posta sopra una ruota. È proprio qui che troviamo tutti gli elementi simbolici che poi hanno dato il titolo all’opera Memento Mori. Il teschio rappresenta la morte, la farfalla l’anima, la ruota la fortuna.

Nel corso del Medioevo santi, soldati, e uomini in generale sono stati raffigurati mentre vengono trafitti da una lama o uccisi nel peggiore dei modi. Osservandoli notiamo chi i loro volti sono praticamente impassibili mentre subiscono le più atroci torture e non possiamo fare altro che accennare ad un sorriso. Quello che pensiamo è: “muoiono in modo atroce, e non gliene importa nulla!”

La domanda che sorge spontanea è: perché?

Osservando in particolar modo le figure dei santi notiamo che questi sono quasi contenti. Il motivo risiederebbe nel fatto che il santo, in quanto tale, è sicuro della sua ascesa diretta in Paradiso, per cui non la sua morte non può essere drammatica.

Diverso è il caso della morte di un uomo normale. Il guerriero è consapevole che prima o poi morirà, l’uomo comune invece probabilmente preferisce non immaginare cosa accadrà dopo la sua morte. Ciò si basa sul fatto che durante il Medioevo la Chiesa cercava di incutere paura affermando di non dover cedere al peccato per poter raggiungere il Paradiso.

È solo con la pittura di Giotto che i personaggi inizieranno a cambiare, si comincerà a preferire la rappresentazione della realtà rispetto ad immagini idealizzate.

Iconografia della Nera Signora

A partire dalla seconda metà del Duecento nasce l’iconografia della Morte chiamata anche La Nera Signora, che rimarrà tale fino alle fine del Seicento. Si tratta di uno scheletro animato, spesso sorridente, che in alcuni casi conserva ancora brandelli di pelle.

L’enorme affresco Trionfo della Morte, eseguito nel 1446 e conservato presso la Galleria Regionale della Sicilia nel Palazzo Abatellis di Palermo, è forse l’opera più rappresentativa di questa iconografia.

In questo affresco troviamo la Morte mentre fa irruzione in un rigoglioso giardino a dorso del suo destriero, anch’egli ridotto quasi a scheletro, e scaglia frecce a uomini e donne sotto gli occhi quasi indifferenti di alcuni personaggi.

Nonostante la scena risulti fortemente drammatica e il contrasto tra la vita e la morte sia evidente, non compare neanche una goccia di sangue.

Un’altra opera fortemente drammatica è il dipinto di Alessandro Magnasco, Furto Sacrilego. La scena è tratta da un evento realmente accaduto: un furto avvenuto presso la chiesa di Santa Maria di Campomorto a Siziano, nei pressi di Pavia. In questo dipinto gli scheletri trascinano negli inferi i ladri che avevano profanato la chiesa. Realizzata nel 1731-1735, è oggi conservata presso il Museo Diocesano di Milano.

Nel film svedese Il settimo sigillo del 1957 diretto da Ingmar Bergman la figura della Morte richiama gli affreschi delle chiese medievali. L’affresco La Morte che gioca a scacchi situato nella chiesa di Täby in Svezia e dipinto da Albertus Pictor intorno alla fine del Quattrocento, ispirò proprio il personaggio della Morte.

Iconografia di San Girolamo

La morte nell’arte non la ritroviamo solo tramite personificazioni animate della morte stessa, ma anche ad esempio attraverso la figura del teschio. La ritroviamo in alcuni dipinti di santi, in particolar modo sulla figura di San Girolamo.

Il santo è raffigurato come un uomo anziano, nudo, e avvolto solo da un drappo rosso. A volte ai suoi piedi è presente il cappello da Cardinale a dimostrazione che egli rinuncia alla gloria terrena.

Molto più spesso è rappresentato nell’atto di scrivere nel suo studio, o nell’atto di colpirsi il petto con una pietra in gesto di penitenza, ma ciò che sicuramente ci balza subito all’occhio è la presenza del teschio sempre accanto a lui a simboleggiare come la vanità è destinata a finire.

Tra i dipinti più belli del santo troviamo quello realizzato da Caravaggio conservato presso la Galleria Borghese a Roma. La luce colpisce San Girolamo e il teschio poggiato sulla scrivania facendoli emergere dallo sfondo completamente scuro.

Tuttavia i teschi presenti nei ritratti dei santi sottolineano la saggezza e la consapevolezza della loro morte che era un pensiero costante. Li spingeva a raggiungere la perfezione, è impossibile sfuggire alla morte e i santi non volevano dimenticarlo.

Vanitas

Durante il corso del Seicento il tema della caducità della vita ossessionava il popolo e in particolar modo committenti e artisti tanto che nacquero numerose opere allegoriche riguardanti questo argomento.

In Olanda si diffuse un tipo di natura morta chiamato Vanitas dove il teschio domina le composizioni, spesso accompagnato da candele spente o strumenti musicali che alludono alla morte, orologi e clessidre volte ad indicare lo scorrere inesorabile del tempo, oppure fiori spezzati simboleggianti la vita che prima o poi volgerà al termine.

La parola deriva dalla frase biblica Vanitas vanitatum et omnia vanitas che significa Vanità delle vanità, tutto è vanità che vuole proprio indicare come la vita sia fugace.

Non è un caso che questo genere pittorico si sviluppi proprio in questo periodo. L’Europa era tormentata dalla tragica Guerra dei Trent’anni, da epidemie, e dalla frattura all’interno del Cattolicesimo che ha portato alla nascita del Protestantesimo. Tutto portava a un generale declino della società che ha trovato il proprio “sfogo” proprio grazie a questo genere pittorico.

Forse si voleva esorcizzare un periodo storico segnato da importanti cambiamenti, dubbi e incertezze trovarono in qualche modo una sorta di dimensione.

Morte nell’arte: scultura

La morte nell’arte non è presente solo nella pittura, ma anche in numerose sculture, basti pensare alla famosissima Pietà di Michelangelo, conservata nella Basilica di San Pietro a Roma. La figura della Vergine Maria sorregge delicatamente il corpo di Cristo.

Ed è sempre a San Pietro che troviamo un’altra scultura altrettanto importante: il sepolcro di Papa Urbano VIII scolpito da Gian Lorenzo Bernini nel 1628. Il Papa è raffigurato in atteggiamento maestoso, ma sotto di lui appare uno scheletro nell’atto di collocare l’epitaffio sul sepolcro, come se volesse ricordare al Papa che la vita non è eterna.

Bernini non si ferma qui, intatti è sempre sua la scultura del sepolcro di Papa Alessandro VII realizzata nel 1672 e collocata sempre all’interno della Basilica di San Pietro. L’opera è a dir poco scenografica: il marmo bianco delle figure contrasta in modo netto con il bronzo dorato dello scheletro che emerge da sotto un drappeggio in marmo mostrando una clessidra simbolo dello scorrere del tempo che sta volgendo al termine.

Morte nell’arte: Novecento

Questo genere però non andò in declino nel corso degli anni, trovando sempre un proprio modo per esprimersi.

Tra le opere più importanti di questo secolo ritroviamo Guernica dipinta da Picasso, realizzata utilizzando solo il bianco e il nero. L’opera è caratterizzata da una forte espressività. Una chiara denuncia al bombardamento della città di Guernica durante la guerra civile spagnola del 1937.

Frida Kahlo, pittrice messicana nata nel 1907 e morta nel 1954, ha rappresentato la morte in modo molto personale. Il tema della morte infatti nella cultura messicana è una componente fondamentale.

La morte per Frida diventa quindi un elemento per rielaborare i propri sentimenti e la propria condizione. Sarebbe impossibile citare tutte le sue opere dove compare questo tema, ma tra le più caratteristiche ritroviamo Bambina con maschera della morte e La tavola ferita.

Nel dipinto Bambina con maschera della morte Frida ricorda sé stessa da bambina quando a causa di problemi di salute si ritrovava spesso a giocare da sola. In questo dipinto si rappresenta da bambina mentre indossa una maschera a forma di teschio.

La vita di Frida è stata sempre molto tormentata e anche il suo matrimonio con l’artista Diego Rivera è stato molto tormentato. Questa sofferenza dovuta ai numerosi tradimenti del marito, emerge nell’opera perduta La tavola ferita, una sorta di Ultima Cena.

Frida si dipinge priva di braccia al centro della composizione, lo scheletro a destra le pettina i capelli mentre a sinistra il marito è dipinto in maniera grottesca. La scena viene mostrata quasi come su un palcoscenico e noi non possiamo fare altro che assistere impotenti.

Articolo di Elena Bruno

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