I Non finiti di Michelangelo

Opere di Michelangelo non terminate

Breve biografia di Michelangelo

Non finiti di Michelangelo: Michelangelo Buonarroti, nato a Caprese, ora in provincia di Arezzo, nel 1475 e morto a Roma nel 1564, proviene da una famiglia di nobili fiorentini ormai in declino e in continue difficoltà economiche: il padre fu podestà di Chiusi e di Caprese e sostenitore dei guelfi mentre la madre morì ancor giovane quando il figlio Michelangelo, secondo di cinque fratelli, aveva appena 6 anni.
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Michelangelo, fin da giovane, aveva spiccate tendenze artistiche e, nell’aprile 1488, è entrato come apprendista nella bottega dei pittori Domenico e David Ghirlandaio, importanti artisti fiorentini dell’epoca.

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Dal 1489 ha frequentato i giardini medicei di San Marco, per studiare le antiche sculture ed imparare le tecniche della scultura sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, allievo e collaboratore di Donatello.

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Michelangelo è stato un artista completo perché ha saputo coltivare l’arte della pittura, della scultura, dell’architettura e anche quella della poesia. 

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Perché Michelangelo non completava le sue opere?

Non finiti di Michelangelo: Si dice che Michelangelo, pur essendo un grande artista, avesse un carattere irrequieto e instabile forse causato da un tormento interiore che lo rendeva insoddisfatto.

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Questa sua indole emerge anche in molte sue opere lasciandole volutamente abbozzate o incompiute. Inizia così una nuova tecnica denominata il “non finito” che obbliga l’osservatore a concludere, con l’immaginazione, l’opera portandolo a riflettere sulla scena.

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Inoltre la sproporzione e le parti incompiute accentuano l’importanza di quelle finite.

Vediamo alcune di queste opere!

San Matteo – Michelangelo

Cosa succede quando il papa chiama?

Il “San Matteo” è la prima opera rimasta incompiuta di Michelangelo. Nel 1503, proprio mentre stava per terminare il “David”, riceve dall’Opera del Duomo di Firenze la commissione di realizzare le statue dei dodici apostoli da collocare, all’interno delle nicchie, nei pilastri sotto la cupola del Duomo.

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Di lì a poco, Buonarroti verrà chiamato a Roma da papa Giulio II e non concluderà mai più l’opera. A proposito di David, ora puoi vedere la scultura in 3D direttamente da casa tua! Vedi l’opera

Non finiti di Michelangelo

La figura di san Matteo è appena abbozzata e dà l’impressione di voler emergere dal blocco di marmo attraverso una leggera e composta torsione, non sofferente, del corpo.

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Come si legge sul basamento della scultura, nel 1831 l’opera è stata trasferita dal cortile dell’Opera del Duomo all’atrio dell’Accademia di Belle Arti. Successivamente dovrà subire un altro trasloco nella Galleria dell’Accademia nello stesso anno in cui sono stati trasferiti altre quattro opere incompiute: gli “Schiavi” o “Prigioni”.

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Prigionieri o schiavi

Perché lasciare segni di scalpello sul marmo?

Non finiti di Michelangelo: I quattro “Prigioni” sono un chiaro esempio della tecnica del “non-finito” sperimentata da Michelangelo. Inizialmente collocati nel giardino di Boboli di Firenze, dal 1908 sono esposti presso la Galleria dell’Accademia. I loro nomi, stabiliti nell’800 in base alla postura assunta dalle figure maschili, sono da sinistra:  Atlante, Schiavo barbuto, Schiavo giovane e Schiavo che si ridesta.

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La datazione di tali opere non è precisa e comunque risalgono nel periodo tra il 1519 e il 1534 e dovevano ornare il monumento funerario di papa Giulio II. La postura dei vari soggetti era diversa e contribuiva a dare movimento allo spazio funebre a cui erano destinati. Michelangelo, nello scolpire queste statue, si è chiaramente rifatto alla cultura ellenistica.

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Guardando con attenzione a queste opere, si può cogliere il percorso lungo e difficile lasciato dai segni di scalpello, sulla superficie marmorea, che rendono le sculture non perfettamente levigate per comunicare l’imperfezione dell’essere umano.

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Tutte le figure, che scaricano il peso del corpo su una sola gamba, sono caratterizzate da un forte senso di tensione che imprime un movimento accentuato, quasi una lotta tra la figura che desidera prendere corpo dal marmo e lo spirito che vuole liberarsi dal corpo per raggiungere Dio, la vera perfezione.

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Dalle figure si intravvede una muscolatura forte e possente sia delle braccia che delle gambe, segno dello studio profondo che Michelangelo aveva dedicato al corpo umano. Pathos e drammaticità avvolgono i 4 schiavi imprigionati nel freddo marmo.

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Non finiti di Michelangelo

Non finiti di Michelangelo: La prima statua a sinistra, alta 277 cm chiamata Atlante,  prende il nome dalla forma di blocco non scolpito sulla testa che sembra pesare come un masso, ricordando lo sforzo del titano Atlante che portava sulle sue spalle il peso del mondo.

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La massa del blocco doveva trasformarsi nella testa e in un braccio. La postura è tipica di un uomo che deve sollevare un peso importante: gambe divaricate e piegate, un braccio sospeso, e tutta la muscolatura in tensione nel tentativo di sollevare un gravoso peso. La seconda, alta 263 cm, è lo Schiavo barbuto, il più completo delle figure in esame.

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La folta barba ricciuta le dà il nome, le gambe sono leggermente divaricate e sono tenute da una fascia mentre il braccio destro sembra reggere il capo reclinato. Il braccio sinistro presenta una mano ancora abbozzata intenta a reggere la fascia. La terza, alta 256 cm, è lo Schiavo giovane.

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Presenta ginocchia leggermente piegate, il braccio sinistro nasconde il volto mentre il braccio destro è nascosto, forse legato ad una invisibile catena. La parte posteriore è rimasta incompiuta e ciò testimonia la tecnica di Michelangelo di iniziare a plasmare l’opera frontalmente per procedere poi progressivamente verso il retro.

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L’ultima statua, alta 267 cm, è lo Schiavo che si ridesta ed è il più famoso forse per la virilità accentuata che emerge dal blocco di marmo. Il volto, le braccia e le gambe sono appena abbozzate mentre il torso si presenta quasi concluso.

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Lo Schiavo ribelle e lo Schiavo morente

Non finiti di Michelangelo: Ci sono ancora due schiavi non-finiti, sempre opera di Michelangelo, che attualmente si trovano al Louvre di Parigi e sono lo “Schiavo ribelle” e lo “Schiavo morente”. Anch’esse nascono per ornare la parte inferiore del monumento funebre di Giulio II ma, dopo vari ripensamenti, queste due statue non sono mai andate a decorare il monumento funebre.

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Michelangelo, dunque, le dona a Roberto Strozzi, membro della potente famiglia fiorentina, per ringraziare dell’accoglienza ricevuta, tra il 1544 e il 1546, durante gli anni della malattia.

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Nel periodo dell’esilio a Lione, Strozzi si fa inviare le statue che successivamente vengono donate al Re di Francia ed attualmente sono esposte al Museo del Louvre di Parigi.

Non finiti di Michelangelo
Schiavo ribelle e Schiavo morente

A sinistra, lo “Schiavo ribelle” alto 215 cm, rappresenta una figura maschile nuda con le mani legate dietro la schiena, intento a liberarsi tramite una contorsione del corpo. Il piede della gamba destra poggia su un blocco di roccia e il ginocchio ruota verso sinistra, mentre l’altra gamba è tesa e poggia a terra.

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Tutta la figura, grazie al movimento della spalla e del ginocchio destro, protendono verso l’osservatore catturando il suo sguardo. A destra lo “Schiavo morente” alta 230 centimetri, raffigura un giovane nudo di straordinaria e sensuale bellezza.

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Il giovane, pur essendo ritratto nel momento drammatico della morte, si presenta con una posa armonica: gli occhi sono graziosamente chiusi e il volto perfetto è incorniciato da capelli ondulati.

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Con la mano destra tenta di liberarsi dai lacci della prigionia mentre l’altra mano è appoggiata sulla testa. Sul marmo, in basso, a supporto della gamba sinistra, è abbozzata la figura di un babbuino che alluderebbe alla sapienza letteraria: infatti l’animale stringe in mano probabilmente una pergamena arrotolata.

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Anche in questo caso, la parte frontale è completa mentre il retro è solamente abbozzato. In queste 2 sculture si fa concreto il tema dell’anima prigioniera del corpo e anelante della libertà, un pretesto per formare dei corpi perfetti, tesi nello sforzo, o abbandonati nel languore dello sfinimento.

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Non finiti di Michelangelo

La Pietà Rondanini

L’incompiuta più famosa

Non finiti di Michelangelo: L’opera incompiuta più famosa è la Pietà Rondanini che si trova a Milano, nel Cortile delle Armi, presso l’antico Ospedale Spagnolo del Castello Sforzesco. È stata l’ultima opera realizzata da Michelangelo, in età avanzata, a partire dal 1550 con l’intento di preparare una scultura questa volta per il proprio monumento funebre.

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Il primo tentativo è fallito per imprevisti strutturali e di materiali: l’opera, poco più che abbozzata, fu fatta letteralmente a pezzi da Michelangelo. Ripresa nel 1555, Michelangelo cambia totalmente la posizione dei due soggetti.

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Il Cristo, con gambe e poco altro abbozzate, si tramuta nella Madonna e viceversa. In essa, il volto e le braccia di Cristo sono solo accennati e il suo corpo è privo della sua canonica perfezione per lasciare spazio alla sofferenza del volto.

La figura di Maria si fonde con il corpo di Gesù come a sottolineare il forte legame tra le due vite sciogliendosi in un abbraccio materno pieno di amore.

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In questa opera si può leggere la profonda riflessione dell’artista sulla lotta tra la vita e la morte, il dualismo tra spirito e corpo e l’alternarsi di forma e materia.

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La Pietà Rondanini è il testamento spirituale di Michelangelo al mondo: la sua ultima opera, rimasta incompiuta poiché nel 1564 il Maestro, ormai 80enne, muore nel suo studio in piazza Venezia, a Roma. Il nome dato alla Pietà, Rondanini, deriva dai Marchesi Rondanini che, nel 1744, hanno acquistato la scultura per collocarla nel Palazzo di famiglia a Roma.

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Nel 1904 diventa proprietà del conte Roberto Vimercati-Sanseverino, e dal 1952 è patrimonio del Comune di Milano che le ha dedicato una sala tutta per lei.

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Conclusione

Michelangelo: uno scultore, un artista, un uomo geniale contrassegnato da un temperamento irascibile ed irrequieto, ostinatamente incline all’insoddisfazione personale e al tormento interiore. Un carattere incostante e instabile che emergerà vigorosamente anche in molti soggetti da lui scolpiti. Michelangelo, il poeta dell’arte che attraverso il non-finito, apre all’infinito la riflessione sulle sue opere, trasformandoli in successi senza tempo e confini.

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articolo di: CANTI FRANCA

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