Il Mosè di Michelangelo – Spiegazione facile
Il Mosè di Michelangelo – Spiegazione
Il Mosè di Michelangelo: Della lunghissima carriera di Michelangelo si ricordano sicuramente i successi: più di tutti, forse, la volta della Cappella Sistina e la parete con il Giudizio Finale. In questo articolo invece parleremo di un’opera certamente famosa, ma legata allo stesso tempo ad un suo grandissimo rammarico: il Mosè di San Pietro in Vincoli. Si tratta di una scultura in marmo di Carrara alta più di 2 metri e mezzo, databile al 1513-1515 circa e conservata nella basilica romana. La creazione di questa statua va contestualizzata nel grande complesso che avrebbe dovuto essere la Tomba di Giulio II; questo è senza dubbio il massimo rimpianto di Michelangelo: si tratta di una vicenda molto travagliata, tanto da essere definita da Ascanio Condivi (uno dei più importanti biografi del Buonarroti) “tragedia della sepoltura”.


La storia del Mosè di Michelangelo
Questa storia inizia nel 1502, quando Michelangelo venne incaricato di realizzare un grande complesso tombale in onore del pontefice, ma questo progetto fu interrotto e modificato un numero infinito di volte. Le cause alla base delle vicende avverse furono molteplici, ma una delle principali fu sicuramente il focoso temperamento tanto di Michelangelo quanto di Giulio II: i due, infatti, entrarono in conflitto a più giri, soprattutto perché il pontefice non aveva come priorità il far realizzare la tomba, ma la pittura della volta Sistina, quindi continuava a rimandare il progetto scultoreo. Quando si riappacificarono al Buonarroti fu chiesto di tralasciare la sepoltura per dedicarsi interamente alla decorazione Sistina e per questo motivo il progetto arrivò a una prima battuta d’arresto.
Nel febbraio del 1513, quando Michelangelo stava per concludere la volta e avrebbe dunque voluto, con tutto se stesso, tornare ad occuparsi della tomba del pontefice, Giulio II morì. Questo segna l’inizio della fine: i rapporti con la famiglia non sono dei migliori e le volontà del defunto papa non vengono rispettate. Alla fine di ciò, il complesso di Michelangelo non assomiglia minimante a ciò che aveva inizialmente previsto e viene collocato in San Pietro in Vincoli.
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La realizzazione del Mosè è dunque legata alla creazione della tomba di Giulio II: difatti, l’artista iniziò a lavorare alla statua durante il secondo decennio del Cinquecento per collocarla nel complesso monumentale e fu una delle prime ad essere create, nonché sicuramente una delle più suggestive e significative.
Quando si entra nella Basilica di San Pietro in Vincoli e si osserva il Mosè si ha davvero l’impressione di trovarsi di fronte a qualcosa di vivo: la vitalità e l’energia conferite alla vigorosa figura sembrano vibrare internamente al marmo e ci troviamo in soggezione davanti al volto accigliato e gli occhi nervosi, colmi di ira. Difatti, Michelangelo raffigura il Mosè nel momento in cui, sceso dal monte Sinai con le Tavole della Legge, trovò il Popolo di Israele che stava adorando il Vitello d’Oro. Adirato per il loro comportamento, Mosè distrusse le prime tavole. In questo momento, il colosso cerca di contenere l’ira, che da lì a poco esploderà.


La testa di Mosè
Non tutti sanno però che la posa del Mosè che Michelangelo aveva
inizialmente creato, non era questa: l’artista è riuscito, ben 25 anni dopo la sua creazione, a girare la testa di una statua di marmo. Chi altri poteva tentare un tale azzardo?
Infatti, secondo uno studio condotto da Christoph L. Frommel, la scultura avrebbe subito una rotazione, probabilmente per motivi religiosi. Secondo questo studio, Michelangelo, avrebbe girato la testa del suo Mosè ma non solo,
avrebbe anche modificato il movimento del corpo creando una meravigliosa torsione dinamica. Questo documento
è avvalorato dalla ricerca di Antornio Forcellino, un restauratore che, lavorando sul Mosè, ha anche studiato moltissima documentazione al riguardo e si è ritrovato tra le mani la lettera di un anonimo conoscente di Michelangelo che riferisce, poco dopo la morte dell’artista, come il maestro avesse girato la testa del Mosè solo in un secondo momento.
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Durante il restauro altri indizi si sono aggiunti a confermare l’ipotesi: l’imponente barba è tirata verso destra, perché a sinistra sarebbe venuto a mancare il marmo. Secondo Frommel, lo scultore ha operato questo modifica perché non voleva che il Mosè fosse rivolto verso
la reliquia delle catene di San Pietro, quindi ha deciso di farlo voltare. Questo spostamento di sguardo avrebbe dato una seconda interpretazione della scultura: sempre seguendo ciò che dice lo studioso, Mosè quindi non sta trattenendo l’ira, ma distoglie lo sguardo dagli altari
dove venivano venerate le catene di San Pietro e concesse le indulgenze a innumerevoli pellegrini, proprio come se avesse visto di nuovo il vello d’oro, il falso dio venerato dal suo popolo; quindi, sarebbe un modo di Michelangelo di contestare il cristianesimo delle indulgenze.


Le teorie di Freud
Tra i tanti che hanno analizzato l’opera, non ci sono solo restauratori, storici e artisti, ma anche il padre della psicoanalisi: Sigmung Freud. Difatti, non tutti sanno che questi si è dedicato all’analisi di opere d’arte e dei suoi realizzatori. Ad esempio, pare fosse riuscito a definire il carattere di Leonardo Da Vinci basandosi sui ricordi dell’infanzia dell’inventore e sui suoi scritti.
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Freud ha anche dedicato uno
libricino al Mosè di Michelangelo, che è stato,
per certi versi, un suo paziente: attraverso le espressioni della statua ed una lettura delle sacre scritture, ha ricostruito l’episodio che si cela dietro l’espressione adirata di Mosè; i suoi occhi pieni di sdegno sono una reazione al tradimento della sua gente, che durante la sua assenza sul monte
Sinai avevano iniziato a venerare il Vitello d’Oro, perché credevano che Mosè non sarebbe più rientrato da loro. A questa visione però, nell’episodio biblico, seguì la distruzione delle tavole da parte dello stesso patriarca; invece, qui Michelangelo lo ha rappresentato mentre placa la sua ira, arrotolandosi la barba intorno al dito cercando di sfogare la rabbia. O almeno, questo è quello che ha voluto vedere Freud!


“Perché non parli?”
In conclusione, sfatiamo un mito che riguarda tanto il Mosè quanto il carattere
tempestoso di Michelangelo: uno degli aneddoti più riportati è che l’artista abbia intrattenuto una conversazione con l’opera, finita però in tragedia… Si racconta infatti che, una volta dato l’ultimo colpo di scalpello al Mosè, il Buonarroti si rivolse alla statua e, ammirando quanto il marmo paresse vivo, le domandò: “Perché non parli?”
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L’opera sembrava infatti talmente reale e viva, talmente palpabile, che l’artista non aspettava altro se non una flebile voce uscire dalle sue labbra. Non ottenendo però risposta dalla statua (ovviamente…) pare che
Michelangelo abbia avuto un forte scatto di rabbia e che questo l’abbia portato ad assestare una poderosa martellata al ginocchio della scultura, creando poi una crepa sul ginocchio destro; in realtà, essa non è altro che una venatura naturale del marmo, quindi non c’è stata nessuna martellata.
Molti altri misteri si celano dietro questa scultura magnifica e anche
noi, come Michelangelo, intrinsecamente speriamo che prima o poi possa muovere le labbra e parlare con noi, per raccontarci meglio la sua storia.