Spiegazione e curiosità sulla Primavera di Botticelli

Primavera di Botticelli

Primavera di Botticelli: Essere famosi vuole anche dire essere capiti. Nei capolavori dell’arte rinascimentale le cose non vanno quasi mai così. Molte opere nascondono in uno sguardo, in una mano, in un fiore, in un colore, significati che si sovrappongono l’un l’altro. Un quadro non racconta mai una sola storia, ne racconta molte, talmente tante che spesso è difficile capire quale sia la principale, quella che il pittore ha voluto che fosse chiara a tutti, per poter meglio nascondere tutto il resto.

Spesso per capire un dipinto bisogna guardare a chi nel dipinto non c’è. Nei quadri di Botticelli siamo in grado di riconoscere le figure mitologiche che vi sono rappresentate ma c’è nella composizione un senso allegorico profondamente sepolto

che deve essere decifrato alla luce dei concetti predominanti in quel momento. Botticelli ha dipinto la Firenze dei Medici, sono i personaggi che vivono nella famosa e ricca città che si nascondono in una delle opere più famose dell’artista: LA PRIMAVERA.

Chi ha commissionato l’opera?

A cominciare dal committente quest’opera è ricca di dubbi che appassionano gli storici da molti anni: realizzata o su commissione di Giuliano de’ Medici in occasione del suo matrimonio con Fioretta Gorini o in occasione del matrimonio di Pierfrancesco de’ Medici (cugino del Magnifico) e Semiramide Appiani.

Una delle interpretazioni vuole che la Primavera rappresenti il regno di Venere cantato nel componimento “Stanze per la giostra” di Poliziano, lo stesso testo che avrebbe ispirato il dipinto della Nascita di Venere.

Nella sua opera, il grande umanista, immagina che quando

la dea della bellezza appare, tutto intorno a lei si veste di splendidi colori: le fanno corona Mercurio che dissipa le nuvole, le tre grazie danzanti, simboli di bellezza, Flora, la dea della fioritura, indossa una veste di fiori, mentre la ninfa Clori viene inseguita e afferrata da Zefiro che scende dalle nuvole con le gote gonfie.

Venere nella Primavera di Botticelli

VENERE è ammantata come una figura classica,

ma con elementi dell’abbigliamento desunti da canoni di moda quattrocenteschi: la veste è decorata alla scollatura e sotto il seno con fili dorati; indossa inoltre una collana di perle con un ciondolo. La mano destra sollevata sembra voler attirare l’attenzione dello spettatore introducendolo nella ricchezza della composizione.

La figura di Venere ha un ruolo fondamentale nella scena:

diventa simbolo della Humanitas, suscita passioni ma è anche capace di moderarle, indirizzandole a fini moralmente ed intellettualmente superiori.

Secondo Ovidio la dea Venere è colei che “stende la sua mano”

sul mese di aprile, il periodo in cui si palesa la primavera, è la dea che governa il mondo, perché infondendo l’amore negli uomini li spinge a riprodursi, la stessa cosa fa con le piante dando origine ai semi, in modo che le stesse producano i loro frutti.

Il tappeto erboso su cui posano i piedi affusolati delle divinità raffigurate è cosparso da centinaia di varietà di fiori, arbusti, erbe, alberi e vegetali in genere. Una così cospicua presenza di piante risponde a diverse esigenze: la prima si riferisce ovviamente alla fioritura che caratterizza la primavera. La seconda rimanda a significati simbolici: l’albero di arancio con i suoi fiori autunnali

è un emblema mediceo e simbolo di matrimonio secondo la mitologia greca; il mirto, fiore sacro a Venere; le rose a profusione sparse da Flora associate all’amore e alla bellezza e il crisantemo simbolo mariano di purezza. Sotto i piedi di Venere troviamo un fiore di elleboro: si riteneva che i fiori di questa pianta prolungassero la giovinezza.

E tanti altri.

Le tre Grazie

Le Tre Grazie, tradizionalmente al seguito di Venere,

sono raffigurate in cerchio, coperte da veli fluttuanti, ornate di perle e monili, sembrano muoversi sinuosamente in una danza che prevede le loro mani intrecciate con grazia. La giovane dea centrale, Thalia (simbolo di castità), guarda verso il giovane in piedi all’estrema destra, identificato come il dio Mercurio, intento col bastone ornato da serpenti attorcigliati (caduceo) a disperdere le nubi che tentano di entrare nel giardino e rovinare l’armonia che vi regna.

Mercurio

Mercurio indossa solo un drappo rosso decorato con fiamme d’oro, che sono gli emblemi di Lorenzo di Pierfrancesco.

Sulla parte destra della tavola sono dipinte tre figure:

una in volo, di colore verdastro che irrompe nella scena, sospesa tra gli arbusti di lauro, si tratta di Zefiro, il vento primaverile che soffia e insegue desideroso la ninfa Clori che fugge e allo stesso tempo si volge verso di lui.

Clori e Zefiro nella Primavera di Botticelli

Questa scena trova spiegazione nei “Fasti” di Ovidio: Clori ha suscitato la passione di Zefiro, viene raggiunta e posseduta, egli la farà successivamente sua sposa, trasformandola e rendendola feconda, conferendole il potere di far germogliare i fiori.

Clori si trasforma in Flora, ammantata da ghirlande floreali e da tantissimi fiori che le ornano la scollatura, il corpo ed il vestito, e che sparge sul prato.

Alcuni storici sono arrivati alla conclusione

che il dipinto nasca da basi letterarie identificabili in autori diversi come Lucrezio, Orazio, Ovidio, Virgilio, poeti conosciuti perfettamente da Poliziano, poeta di fiducia dei Medici, che avrebbe suggerito a Botticelli le opere a cui ispirarsi.

Simonetta Cattaneo

Nelle sue opere Botticelli esprime al bellezza femminile prendendo

come esempio la figura di Simonetta Cattaneo, nata dalla famosa famiglia genovese e trasferita a Firenze dopo aver sposato a soli 16 anni Marco Vespucci, intimo della famiglia Medici. Assunta a modello di bellezza neoplatonica, venne celebrata da poeti ed immortalata dagli artisti della cerchia di Lorenzo il Magnifico. Anche il cuore di Giuliano de’ Medici batteva per la bella Simonetta, ma rimase un amore impossibile, sia perché lei era sposata sia perché entrambi morirono prematuramente.

Simonetta morì di tisi il 26 aprile 1476, il suo corpo rimase in vista durante il corteo funebre e i presenti notarono come neppure la morte fosse riuscita a privarla della sua grazia e della sua bellezza. Due anni dopo, il 26 aprile, Giuliano venne ucciso nella Congiura dei Pazzi.

Le nove figure del dipinto rappresentano il percorso

che l’uomo deve compiere per elevarsi dalle pulsioni più fisiche per le cose terrene, alla più alta attività contemplativa delle cose divine.

Seguendo questa interpretazione, sulla parte destra è raffigurato

il livello più basso della pulsione amorosa con Zefiro e Clori, mentre alla sinistra di Venere (l’ago della bilancia), vediamo il livello più alto e contemplativo dell’amore:

le Tre Grazie e Mercurio.

Articolo di Sandra EMME

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Un pensiero su “Spiegazione e curiosità sulla Primavera di Botticelli

  • Settembre 6, 2023 in 9:50 am
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    Vedo che lei incorre nel solito errore di chiamare “La Primavera” quel famosissimo quadro di Botticelli. Quel titolo, apocrifo, e la conseguente descrizione errata di quel che si vede nel quadro, derivano da una frase del Vasari (Le Vite, I) secondo cui Botticelli “in diverse case fece tondi di sua mano, e femmine ignude assai, delle quali oggi ancora […] sono due quadri figurati l’uno Venere che nasce […] e così un’altra Venere che le Grazie la fioriscono, dinotando la Primavera”.
    Anche un occhio inesperto doveva accorgersi che la “Venere” del quadro non è “ignuda assai”, ma vestita di tutto punto; e che le tre Grazie non la “fioriscono” per nulla, anzi la ignorano, prese come sono nella loro danza! Evidentemente Vasari si riferiva a un altro quadro, forse perduto.
    Solo nel 1998 un’arguta studiosa di iconologia, Claudia Villa («Per una lettura della Primavera. Mercurio retrogrado e la Retorica nella bottega di Botticelli», in Strumenti critici, 86, pp. 1–28) ha dimostrato che il quadro rappresenta “Le nozze di Mercurio con la Filologia”, così come descritte nel V sec. a. C. nel “De nuptiis Mercurii et Philologiae” del retore africano Marziano Capella, stampato per la prima volta a Vicenza nel 1499, e da allora presente nelle biblioteche fiorentine.
    Botticelli mette in scena i personaggi in un luogo (un frutteto, un “pomerium rethori-cae”), con posizioni e atteggiamenti dal preciso significato allegorico. Partendo da si-nistra, Mercurio rappresenta l’ermeneutica ed è “retrogrado” – cioè guarda fuori dal quadro – per motivi complessi astronomici che qui sarebbe troppo lungo riassumere. Delle Tre Grazie, due sono di fronte e la terza di schiena “quia gratia simpla a nobis profecta dupla solet reverti”. La Filologia (la figura centrale, tradizionalmente indicata come Venere) è l’amore per l’esercizio della ragione: nel suo virginale pallore richiama il pallore di filologi, filosofi e poeti che vegliano di notte. Sopra di lei si libra un pronubo Amorino bendato ad augurare copiosi “frutti” dalle nozze. La giovane donna che sparge sul prato le rose raccolte nella piega a grembiale dell’abito lungo, distribuendole con ampio gesto, non è la Primavera, ma la Retorica, secondo la comunissima metafora che vede quest’arte dispensare nel discorso “flores rhetorici”, cioè ornamenti e seducenti “coloriture” (verborum colores). Flora, cioè l’etimologia, dimostra che “nomina sunt consequentia rerum” perché il suo nome deriva dai rametti fioriti che le escono dalla bocca. Chiude la fila Zefiro, preposto alla germinazione (quod flores et gramina eius vivificentur spiritu), detto anche Favonio (quod his faveat que nascuntur), che rappresenta l’ispirazione poetica.

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