Max Ernst, il genio del Surrealismo




Max Ernst
Da una prima adesione all’espressionismo ad un avvicinamento al gruppo “Blue Reiter”, Ernst è già un grande ammiratore di Van Gogh, Goya, Gauguin e Kandinsky passando per la conoscenza dell’opera di Paul Klee e della metafisica di De Chirico. Max nelle sue opere, spesso di difficile lettura, crea mondi popolati di misteriose figure femminili zoomorfe e animali antropomorfi, di foreste lussureggianti, di paesaggi e di città pietrificate.
Nei suoi lavori è evidente l’influenza degli studi di Freud: l’inconscio, la dimensione onirica, le pulsioni sessuali sono rese attraverso la pittura, il collage, la contaminazione di immagini eterogenee che provocano un effetto di straniamento.
Come le sue opere, anche la vita di Maximilien (Max) Ernst è estremamente complessa. Nasce a Brûl, in Germania, nel 1891. Disegna e dipinge già dall’infanzia seguendo l’esempio del padre, docente di scuola per sordomuti. Max è autodidatta, non frequenta nessuna scuola d’arte e dal 1910 a Bonn studia filosofia, storia dell’arte e psichiatria.
Artista poliedrico, nel corso degli anni otterrà la cittadinanza francese ed americana. Alla fine della prima guerra si aggrega al movimento Dada a Colonia realizzando i suoi primi collage e nel 1918 sposa Luise Strauss, una storica dell’arte, scrittrice, giornalista anch’essa legata al mondo Dadaista. Con l’artista tedesco Johannes Theodor Baargeld fonda un proprio gruppo Dadaista con il nome di battaglia di Dadamax.
Al 1921 risale la sua prima esposizione personale a Parigi, presso la Galerie Au Sans Pareil, città dove si stabilirà l’anno successivo. In quell’anno a Colonia, Ernst incontra il poeta Paul Eluard e sua moglie Gala, (poi modella, musa e moglie di Salvador Dali’), di origini russe. Tra Paul e Max si instaura un’amicizia che durò tutta la vita nonostante si fosse accesa un’improvvisa e tormentata passione tra Ernst e Gala.
Nel 1922 Ernst si trasferisce a Parigi, dove visse con gli Eluard fino al 1924. Nello stesso anno Max firma il “Manifesto del Surrealismo” diventando in seguito uno dei più grandi esponenti del movimento. Nel 1937 ecco il suo grande amore con la famosa pittrice surrealista Leonora Carrington più giovane di 26 anni che, come dirà in seguito Peggy Guggenheim
“La Carrington fu l’unica donna che Max abbia mai amato” .
Nel 1941, per motivi politici, è in esilio negli Stati Uniti dove sposa Peggy Guggenheim, gallerista e grande collezionista, ma il matrimonio durerà solo un anno. Successivamente nel 1946 si sposa con l’artista Dorothea Tanning stabilendosi in una casa priva di ogni confort nei pressi di Sedona in Arizona. Nel 1953 fa il suo ritorno in Francia.
Nel corso della sua carriera artistica, Max si è cimentato in numerose discipline artistiche come la pittura, la scultura e la poesia. Ernst sperimenta diverse tecniche e ne inventa di nuove come il “frottage” con la variante del “grattage” che consiste nello strofinare una matita o carboncino nero su una tavola per cui, come avviene nei processi di scrittura automatica surrealista, emergono forme che diventano suscettibili di svariate interpretazioni.
Nelle sue opere utilizzerà anche il “collage” le “decalcomanie” e la tecnica dell’oscillazione, precorritrice del “dripping” di Pollock. Muore a Parigi nell’aprile 1976. Le sue opere, come la sua vita, sono imprevedibili e a volte sorprendenti. In tutte le sue opere il rigore e il metodo sono all’origine di creazioni fantastiche e meravigliose dove stupore e meraviglia si intrecciano in modo elegante e, a volte, inquietante. Le sue opere sono costantemente modellate su una tensione tra il mondo esteriore e l’anima interiore dando libero spazio alla fantasia.


Edipo Re, Max Ernst, 1923
Edipo Re
Il dipinto “Edipo Re” è stato realizzato nel 1923 prima della nascita del Manifesto Surrealista di Andrè Breton. Il quadro, dal forte effetto straniante, presenta una mano che esce da una finestra in muro di mattoni. La mano ha quattro dita, alcune infilzate da un oggetto appuntito, che afferrano due elmi trafitti da frecce. Questi due elmi richiamano una noce. Sulla destra, invece, fanno la loro comparsa due teste, una di uccello e un’altra di toro, che sembrano essere i destinatari dei due copricapi militari. Le teste sono bloccate al pavimento tramite due fori. Appoggiata alla testa dell’uccello vi è la pesantezza di una staccionata di legno in contrasto con la leggerezza di una mongolfiera che vola in cielo.
Max ha sempre avuto una particolare attenzione nei confronti degli uccelli tanto da affermare addirittura di essere nato da un uovo di aquila che sua madre aveva deposto in un nido. L’opera fa chiaramente riferimento al mito greco di Edipo che, dopo aver ucciso il padre, sposa la madre senza conoscere il legame di parentela. Quando scopre la verità, Edipo si acceca trapassando gli occhi con una spilla della madre.


L’angelo del focolare, Max Ernst, 1937
L’angelo del focolare
L’Angelo del focolare viene alla luce nel 1937. Il protagonista del dipinto è una figura inquietante dal volto che riprende i tratti di diverse entità mostruose: da una testa di condor con il becco appuntito si passa alla figura di un pipistrello per poi alludere al sorriso maligno di una strega. Il corpo è composto da frammenti di animali fantastici: da una gamba spunta un mostruoso personaggio verde.
Con una andatura, minacciosa e buffa nello stesso tempo, avanza danzando con leggerezza. La sua risata fragorosa appare spezzare il silenzio del paesaggio circostante. L’uso degli angoli e le continue linee spezzate danno l’idea dell’aggressività e della minaccia angosciosa di una mente folle. L’opera sembra ispirata dai drammatici eventi scaturiti dalla guerra civile spagnola, come lo è stato anche per Guernica di Picasso realizzata nello stesso anno.
È anche una nefasta preannunciazione dell’avvento di Hitler e del secondo conflitto mondiale: gli artigli del mostro ricordano l’effigie della svastica. Ernst stesso dirà della sua opera
“Un quadro che ho dipinto dopo la caduta dei Repubblicani in Spagna è L’angelo del focolare. Si tratta naturalmente di un titolo ironico per una specie di trampoliere che distrugge e annienta tutto ciò che incontra. Questa era la mia impressione di ciò che il mondo stava andando incontro, e ho avuto ragione”.


Max Ernst e Capricorn, foto di John Kasnetsis, 1948
Max Ernst e la scultura
Nel 1946 Max Ernst si trova negli Stati Uniti, in Arizona. Con la moglie Dorothea Tanning acquista un terreno nei pressi della cittadina di Sedona. Nel 1948 anche questa collina viene raggiunta dall’arrivo dell’acqua e così il nostro artista inizia a creare una scultura monumentale in cemento: Capricorno, una divinità regale e benigna che doveva vegliare sugli abitanti. È il decimo segno dello zodiaco solitamente rappresentato da una capra con la coda di pesce.
In questo caso troviamo un sovrano, seduto in trono, con la testa cornuta e alla sua sinistra vi è una sirena con il busto a forma di violoncello e senza braccia. La mano sinistra del re è appoggiata sopra un volto circolare dalla cui bocca esce la lingua forse a causa della pressione esercitata dalla mano. Sopra la mano, invece, si trova una strana creatura con antenne sulla testa. Nella mano destra, il re impugna uno scettro dalla superficie leggermente ondulata che rappresenta gli alti e bassi ciclici della vita.
Come in tutte le opere di Max, si trovano degli accoppiamenti sorprendenti con effetti umoristici: al vertice dello scettro, simbolo di potere, vi è una maschera perplessa e gonfia che sembra deridere il sovrano. Così come curioso appare il fatto che la sirena sia più alta del re mettendo in crisi il potere del sovrano. Anche i materiali usati sono particolari: una cassetta per le uova per la maschera e contenitori per il latte per lo scettro.
Nella foto scattata da John Kasnetsis nel 1948, l’artista si è posizionato in modo tale che il suo braccio vada a fondersi con quello del re dando l’idea di abbracciare Dorothea Tanning seduta sulla scultura ad occhi chiusi. Nel 1964 l’opera è stata fusa in bronzo in sei copie e poi riprodotta nuovamente nel 1975 in altri due esemplari.
Max Ernst: l’artista che ha saputo trasformare l’invisibile in realtà dando un tocco di poesia anche agli oggetti più banali creando un mondo di animali in continua metamorfosi.