Intervista a Giorgio de Chirico
Questa immaginaria intervista al Maestro Giorgio De Chirico, vorrei che si trasformasse più in una narrazione e non nella solita infilata di domande che talvolta lascia poco spazio al racconto di sé. Ho il desiderio di raccogliere quanti più aneddoti e curiosità possibili su questa figura per delinearne i tratti salienti che, con la sua personalità e attraverso la sua arte, lo ha portato a creare un modo nuovo, enigmatico e misterioso di rappresentare il suo mondo intersecando ad esso il pensiero filosofico che andava delineandosi all’inizio del secolo scorso, definendolo così il padre della Metafisica.
In un assolato pomeriggio di fine estate, al civico 31 di Piazza di Spagna, mi accingo a varcare la soglia dello studio/abitazione del Maestro Giorgio De Chirico.
De Chirico si racconta
Il mio nome per esteso è Giuseppe Maria Alberto Giorgio de Chirico e sono nato in Grecia a Volos, una regione della Tessaglia, il 10 luglio del 1888, da genitori italiani.
Mio padre di origini siciliane e mia madre di famiglia genovese.
Vivevamo in Grecia per il lavoro di mio padre che di professione faceva l’ingegnere, a quei tempi era impegnato nella costruzione della ferrovia. Dopo la sua morte, mia madre decise di lasciare la Grecia.
Dopo gli anni trascorsi anche ad Atene, i primi tempi abbiamo girato molto, ci siamo spostati in Italia e verso il 1907, spero di ricordare bene, ci siamo trasferiti a Monaco di Baviera ed è lì che ho iniziato a studiare all’Accademia di Belle Arti. Sono stati anni molto significativi che mi hanno portato a conoscere, oltre agli artisti tedeschi, anche il pensiero filosofico che si andava delineando in quegli stessi anni. Le letture di Nietzsche, Schopenhauer e Weininger sono state determinanti per le mie opere future. Altri spostamenti ci hanno riportato in Italia a Milano prima e poi a Firenze e dal 1911 fino al 1915 a Parigi, la capitale dell’arte europea, e nuovamente in Italia, precisamente a Ferrara.
In tanto peregrinare, ho avuto la possibilità e la fortuna di vedere molta arte anche assai diversa, posso ritenermi un’artista completo, un cosiddetto cosmopolita. Ho creato un linguaggio nuovo; la mia pittura è un reazione alle avanguardie cubiste e futuriste e anche all’impressionismo e al divisionismo, che a parer mio è stata la rovina dell’arte moderna. Nelle mie opere l’immediatezza visiva si contrappone allo spazio rarefatto degli Impressionisti e alla scomposizione delle forme e al dinamismo dei Futuristi.
La Filosofia e la Pittura
Nelle letture dei libri di filosofia e in particolare quelli scritti da Nietzsche, avevo letto del sentimento forte e misterioso della malinconia, il mio intento è stato quello di fissare in qualche modo sulla tela, quella sensazione.
Era il 1912 quando a Firenze ho realizzato il primo quadro metafisico, L’énigme d‘un après-midi d’automne – L’enigma di un pomeriggio d’autunno”. La composizione del quadro mi è venuta stando seduto su una panchina a Piazza Santa Croce mi sono trovato ad osservare gli edifici e la statua di Dante, non era la prima volta che mi trovavo lì eppure la sensazione che ho provato è stata nuova, diversa, era strettamente legata al mio stato d’animo che non era dei migliori in quel momento e quindi ho immortalato il mio momento. A ben pensare il momento è un enigma per me, perché è inspiegabile. Amo così chiamare l’opera che risulta un enigma.


L’énigme d‘un après-midi d’automne – 1910
Precedentemente avevo realizzato un altro quadro, un autoritratto dal titolo L’énigme de l’heure Portrait de l’artiste par lui-même con la lapidaria epigrafe nietzschiana “Et quid amabo nisi quod aenigma est?” “E cosa amerò se non ciò che è enigma?” L’énigme de l’heure Portrait de l’artiste par lui-même – 1910. Con la lapidaria epigrafe nietzschiana “Et quid amabo nisi quod aenigma est?” (“E cosa amerò se non ciò che è enigma?”)
Poi ci sono gli anni a Parigi, trascorsi in un susseguirsi di mostre e incontri.
Qui ho iniziato a sviluppare il tema delle piazze, delle torri, delle logge. Collocavo oggetti enigmatici o simboli arcaici in uno spazio indefinito ma costruito sempre secondo il principio della prospettiva rinascimentale.
La luce che Illumina le mie opere non è reale, i colori giocano un ruolo di campiture come in un incastro di tarsie marmoree.
La passione assidua per le letture filosofiche mi ha portato a leggere Heidegger; lui pensava che l’opera d’arte era capace di produrre una nuova esperienza carica di significato ed è questo quello che volevo attribuire ai miei lavori.
L’arte doveva incontrare la sfera filosofica: questo era il mio intento e quello che stavo sperimentando. Ecco perché sono stato definito il padre della Metafisica.
De Chirico e Ferrara
La città alla quale devo molto e alla quale sono fortemente legato è Ferrara. L’ho vissuta intensamente e profondamente anche per via dell’inizio della Prima Guerra Mondiale, mio fratello ed io ci arruolammo come volontari. Poi ci furono gli incontri con Carlo Carrà e Filippo De Pisis che determinarono la vera magia con la città stessa.
L’atmosfera che si respirava a Ferrara ha saputo darmi impulsi forti, dettagli che hanno dato luogo ad ispirazioni che ho catturato e fissato sulla tela, quasi come visioni; l’ondata di emozioni prima e poi l’architettura dei suoi edifici con le piazze rinascimentali, sospese in un tempo senza tempo, hanno fatto da sfondo al mio mondo irreale disseminando qua e là, nelle mie tele gli oggetti che io amo definire enigmatici.
I manichini, i personaggi muti e senza volto hanno preso vita, sono evocativi e misteriosi, ricordano i poeti e gli indovini della mitologia classica con quella capacità superiore di analizzare la realtà andando oltre l’apparenza del fenomeno.




Il trasferimento a Roma
Nel 1919 mi trasferisco a Roma e qui viene organizzata la mia prima mostra personale presso la Casa d’arte di Bragaglia.
Per il mio lavoro inizia un altro periodo molto intenso, la riscoperta dei maestri del Rinascimento mi porta a nuove ispirazioni e con esse nuovi viaggi, esplorazioni nell’arte e nelle sue tecniche. Nel ‘23 partecipo alla XIV Biennale di Venezia; nel 1924 realizzo scene e costumi per “La Giara” di Pirandello, messa in scena dai Balletti Svedesi a Parigi. Ho viaggiato ancora tra Parigi, Milano, Firenze per approdare a New York, sono stati anni senza sosta ma poi nel ’46, con la fine della guerra mi sono stabilito definitivamente a Roma e ho sposato Isabella Pakszwer.
Oggi alla soglia degli ottantenni, dopo tanto viaggiare, vedere e sentire ad un livello profondo, ho riacquistato una serenità lavorativa che mi ha permesso di riprendere i soggetti dei miei quadri, del periodo che vanno dagli anni ’10 agli anni ’30 rielaborandoli sotto una luce nuova, i colori sono accesi sostituiscono le atmosfere cupe e severe del primo periodo Metafisico. Inizia un nuovo periodo conosciuto come Neometafisica.


Sole sul cavalletto
La maturità raggiunta ha fatto si che la severità, la rigidità e l’atmosfera cupa, forse di un pittore ancora acerbo abbia lasciato spazio ad un animo più disteso, consapevole o forse semplicemente arreso di fronte a cotanta inquietudine; sentimento che talvolta ci lascia inspiegabilmente senza risposte.
Il 20 novembre 1978 Giorgio de Chirico si spegne a Roma all’età di 90 anni, dal 1992 le sue spoglie riposano presso la chiesa di San Francesco a Ripa in Trastevere. De Chirico si è rivelato tra gli artisti più originali e criptici del suo tempo.