Arte concettuale: L’opera “Una e tre sedie”

L’arte come idea, parola e pensiero

L’arte concettuale inizia a svilupparsi nel mondo occidentale negli anni Sessanta del Novecento. Questa nuova corrente artistica è a dir poco divisoria e rivoluzionaria, poiché, in una società dove si è abituati a considerare l’arte come un qualcosa che debba in tutti modi provare a stupirci attraverso la sua bellezza, eliminare l’oggetto fisico era un qualcosa di impensabile, ma quanto mai necessario.
Come suggerito dal nome stesso, “l’arte del concetto” o se vogliamo del pensiero, basa la sua essenza sul processo mentale che porta l’artista a concepire l’opera e non sull’opera stessa; sul significato intrinseco dell’opera e non sull’opera materiale, sul come essa e sul perché essa è nata, senza dare per scontato che esista e basta, perché concepita e realizzata da una mente superiore alla nostra.

La figura dell’artista visivo è storicamente associata alla figura dell’artigiano, una persona in grado di realizzare attraverso le proprie mani un qualcosa di unico, dipingendo con fluide pennellate e scolpendo con precisi colpi di scalpello; l’arte concettuale dissacra questo pensiero comune. L’artista non è più colui che realizza ma colui che pensa, non è più necessario saper fare meglio degli altri, ma bisogna avere l’idea giusta e saperla trasmettere al pubblico, empatizzando con esso.
Lo spettatore è caldamente invitato ad una riflessione interiore per dare la propria interpretazione dell’opera e una più profonda riflessione collettiva sul significato di arte stessa e su cosa può e cosa non può essere considerato arte.

Una e tre sedie

Una e tre sedie” è un’installazione artistica di Joseph Kosuth del 1965 presso il New York, Museum of Modern Art (MoMA). L’artista ci propone una riflessione attraverso una sedia vista in tre modi differenti: al centro una sedia pieghevole fatta di legno (oggetto fisico), alla sua sinistra una foto in banco e nero della medesima sedia ed infine sulla destra un pannello con sopra scritta la definizione di sedia presa in prestito da un dizionario in lingua inglese.

L’installazione è una riflessione sul concetto di realtà e sulla rappresentazione di essa. La foto della sedia ha meno valore della sedia stessa? Sicuramente non ha le stesse proprietà dell’oggetto materiale; non è fatta di legno, non ha tridimensionalità e non ha la stessa funzione, non essendo essa utilizzabile per sedercisi sopra.
Con la definizione ci spingiamo ancora oltre, visto che, in questo caso, non vediamo proprio più nessuna sedia.
Ma non è la definizione di sedia la sedia stessa?
La sedia e la foto della sedia, possono variare in base alle esigenze e alle disponibilità di chi realizza l’installazione, l’unica cosa che resta immutabile è la sua definizione, così pratica e reale, anche se intangibile.
Senza il significato che le attribuiamo, quell’oggetto non ha più la funzione per cui è stato creato. Eliminando la sua semantica, della sedia resta ben poco, solo delle assi di legno tenute insieme da delle viti.

Come possiamo comprendere arrivati a questo punto l’installazione di Kosuth ci accompagna verso una riflessione che ci fa porre dei quesiti sul rapporto esistente tra l’oggetto fisico, la sua rappresentazione visiva e la sua rappresentazione letteraria. Possiamo quindi ritenere questo esperimento artistico-concettuale più che riuscito.

Non ci emoziona e non ci lascia a bocca aperta, ma ci fa pensare!

Arte anticapitalista

“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono” diceva Tyler Durden, personaggio di fantasia interpretato da Brad Pitt nel celebre film Fight Club, diretto dal regista David Fincher.

Compra, usa e butta. Di quanti oggetti abbiamo bisogno per essere felici?
L’arte concettuale è anche una velata critica a tutto questo. Se è possibile fare arte senza considerare l’oggetto materiale, ma bensì, creando un discorso intorno al suo significato, ci possiamo rendere conto che le cose che cercano di venderci attraverso la pubblicità non sono sempre così indispensabili. Riempiamo le nostre case di oggettistica che poi non utilizziamo o addirittura ci dimentichiamo completamente di possedere, questo perché la società ci porta a credere che abbiamo effettivamente bisogno di quella cosa nella nostra vita e che acquistarla ci possa rendere in qualche modo delle persone migliori.
Vedere gli oggetti attraverso la loro essenza e non solo tramite i nostri occhi, può spingerci a riflessioni più profonde sul vero valore di un oggetto e sulla sua utilità.

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