Antonio Canova: Biografia e opere
Antonio Canova: «vi vuol altro che rubare qua e là da pezzi antichi e raccozzarli assieme senza giudizio, per darsi valore di grande artista. Conviene studiare dì e notte su’ greci esemplari, investirsi del loro stile, mandarselo in mente, farsene uno proprio coll’aver sempre sott’occhio la bella natura con leggervi le stesse massime»
Antonio Canova


Antonio Canova nasce in provincia di Treviso nel 1757. È ritenuto il massimo esponente del Neoclassicismo in scultura e per questo soprannominato «il nuovo Fidia». Molto vicino alle teorie neoclassiche di Winckelmann e Mengs, lo scultore ebbe committenti di prestigio come:
gli Asburgo, i Borbone, la corte pontificia e Napoleone, tanto da conquistare la nobiltà veneta, romana e russa.
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I primi lavori dello scultore veneto furono due Canestri di frutta, commissionati dal Falier, oggi conservati al museo Correr. Sempre per una commissione del Falier nel 1773 Canova, creò due sculture raffiguranti una Euridice e l’altra Orfeo in pietra di Costozza, che espose nel maggio 1776 alla fiera annuale dell’arte veneziana della festa della Sensa. Queste due opere sancirono la sua ascesa nel mondo dell’arte, riscuotendo un incredibile successo.
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Nel marzo del 1779 Canova ricevette, come riconoscimento artistico la nomina a membro dell’accademia di Venezia. In questo stesso anno lo scultore, ventiduenne, partì per Bologna, facendo tappa a Firenze per poi giungere a Roma. Il Soggiorno romano, che durò fino al 1780, fu molto prolifico per Canova, che portò a compimento la propria formazione: potendo studiare la statuaria antica e frequentare la scuola di nudo dell’accademia di Francia e dei musei capitolini.
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Nell’ambiente romano Antonio Canova approfondisce, apprezza e fa proprie le teorie di Winckelmann, tanto da ricercare nel suo fare artistico la nobile semplicità e la quieta grandezza, indicati dal critico tedesco come valori fondamentali dell’arte antica.
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Nelle opere riconducibili al periodo romano notiamo come Canova conserva il virtuosismo tecnico appreso dal suo apprendistato veneto, ma allo stesso tempo si impegna a creare opere in cui incarnare l’ideale neoclassico di bello.
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L’obbiettivo di Canova era quello di dare vita alla forma pura, quella forma in grado di trasmettere sentimenti ed azioni. Questa ricerca di comprensione e imitazione dell’arte classica, verrà portata avanti dallo scultore, per tutto il suo percorso artistico.
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La sintesi ideale delle ricerche canoviane si può ammirare nel 1781 nell’opera Teseo e il Minotauro.
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I diversi temi di azione e lotta, che lo scultore veneto, affronta nel proprio repertorio artistico, sono la riprova della sua costante ricerca di nuove soluzioni formali. Nel 1795 realizza Ercole e Licia, opera in cui affronta l’azione nel suo pieno svolgimento: una circolarità che compone e chiude l’azione ovvero Ercole che scaglia lontano Licia.
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La grazia, caratteristica razionale e sublime delle opere dell’antichità classica, era una componente fondante dell’opera di Canova, sviluppata al massimo dal 1787 quando iniziò i suoi studi per il gruppo scultore di amore e psiche, opera nella quale si trova l’ideale neoclassico della bellezza.
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Nelle opere successive che hanno come soggetti personaggi mitologici, Canova ribadisce la sua determinazione a voler perseguire la natura degli antichi, senza compromessi, manipolazioni o false interpretazioni.
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Antonio Canova si dedicherà anche alla progettazione e creazione di meravigliosi monumenti funebri, che si allontanano dalle allegorie tardobarocche, e che riprendono il tema delle stele funerarie, con un chiaro influsso della poesia funeraria.
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Uno dei primi monumenti funerari fu di quello per Clemente XIV del 1783–1787 a Roma presso la Basilica dei Santi Apostoli.
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Antonio Canova non fu solo un grandissimo scultore, infatti grazie ai suoi studi ed il suo interesse verso l’antichità classica, nel 1802, ricevette da papa Pio VII l’incarico di effettuare attività di controllo sulle opere d’arte nei territori del vaticano, supervisionare le attività di restauro sui reperti archeologici già esposti nei musei, ed evitare restauri abusivi ed esportazioni.
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In tema di restauro Canova si proclamava favorevole al restauro integrativo, purché l’integrazione rispettasse lo stile, le proporzioni e la tecnica dell’originale.
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Antonio Canova fu una figura fondamentale anche durante l’occupazione napoleonica. L’Italia sotto il dominio francese subì un ingente espoliazione di opere d’arte. Lo scultore veneto era fortemente contrario a quest’azione di depauperamento del patrimonio artistico, perché sosteneva l’inscindibilità dell’opera dal suo luogo d’origine e dall’ambiente circostante: perché l’opera d’arte è inscindibile dalla realtà in cui è stata creata. Infatti, nel 1815, anno in cui rientrarono le opere trafugate da Napoleone, Canova fu proclamato Ispettore generale delle antichità, e delegato al recupero del patrimonio artistico.
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A seguito del recupero delle opere trafugate, come segno di ringraziamento Canova, ricevette dal Pontefice il titolo di «marchese d’Ischia» e lo ascrisse nel libro d’Oro del Campidoglio: come stemma del marchesato l’artista scelse la lira e la serpe, simboli di Orfeo ed Euridice, in memoria delle prime sculture che lo portarono alla gloria.
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Dopo aver concluso diversi lavori, Canova tornò a Venezia nel 1822 dove morì.
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In un passo delle memorie di Francesco Hayez è riportato il metodo di lavoro di Canova
«Il Canova faceva in creta il suo modello; poi gettatolo in gesso, affidava il blocco a’ suoi giovani studenti perché lo sbozzassero e allora cominciava l’opera del gran maestro.»
Quello che è chiaro ed emerge dagli scritti di Hayez, è che le opere dell’artista veneto richiedevano notevole organizzazione e progettazione. Prima di eseguire materialmente l’opera, Canova disegnava il proprio progetto su carta con rapidi schizzi e appunti, per poi creare piccoli prototipi preparatori in argilla.
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«Ciò che mi rende più impaziente è vedere l’effetto che l’opera produrrà sulle anime del pubblico».
Opere


Ercole e Lica – Antonio Canova
Gruppo scultoreo in marmo eseguito tra il 1795 e il 1815 e conservato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
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La scultura rappresenta una vicenda tratta dai poeti antichi. Ercole, impazzito dal dolore procuratogli dalla tunica intrisa dal sangue avvelenato del centauro Nesso, scagliò in aria il giovanissimo Lica, che, ignaro, gliel’aveva consegnata su ordine di Deianira.
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Il gruppo scultoreo è eseguito con una forte accuratezza geometrica. Ercole è rappresentato al massimo della tensione muscolare, nell’atto di sollevare il piede di Licia, che tenta invano di opporre resistenza, aggrappandosi all’altare alle spalle dell’eroe. La scena rappresenta l’attimo in cui il ragazzo viene sollevato con forza da terra e sospeso in aria, prima di essere scagliato nei flutti del mare.
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Monumento funerario di Maria Cristona d’Austria 1798-1805 – Antonio Canova
è un monumento scultoreo in marmo custodita all’interno dell’Augustinerkirche di Vienna.
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L’opera si struttura su un’imponente piramide bianca, che è il punto focale della composizione.
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Una piccola gradinata di tre livelli precede l’apertura della piramide, verso la quale si accinge ad entrare una processione, composta da figure simboliche, tutte legate tra loro da una ghirlanda di fiori: in prima linea la Virtù a capo del corteo funebre,
affiancata da due fanciulle, che porta le ceneri della defunta. Di seguito è rappresentata la Pietà, una giovane donna accompagnata verso il sepolcro da una bambina e un vecchio cieco. Sulla destra un genio funerario poggiato sul dorso di un leone malinconico, che rappresenta la forza morale. In alto sulla porta della piramide la Felicità Celeste che, accompagnata da un bambino nudo in volo con una palma in mano, simbolo di gloria, regge un medaglione recante il volto di Maria Cristina.
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Il medaglione con l’effige del defunto è l’elemento neoclassico che sostituisce la tipica statua dei monumenti funerari barocchi. Il medaglione è incorniciato dall’uroboro, il serpente che si morde la coda, simbolo esoterico che allude al cosmo e all’eternità.
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Paolina Borghese Bonaparte come Venere vincitrice – Antonio Canova
E’ una scultura neoclassica eseguita tra il 1804 e il 1808, ed esposta ancora oggi presso la Galleria Borghese di Roma.
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Paolina Bonaparte, era la sorella di Napoleone I e fu sposa in seconde nozze del principe romano Camillo II Borghese. Infatti, è per celebrare il matrimonio con Paolina Bonaparte che Camillo Borghese commissionò l’opera a Canova nel 1804.
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Paolina è raffigurata nelle sembianze di una Venere vincitrice: ovvero la donna tiene nella mano sinistra
una mela che evoca la vittoria di Afrodite (Venere) nel giudizio di Paride. Nella mitologia greca Paride doveva scegliere chi tra le dee Era,
Atena ed Afrodite fosse la più bella, e assegnare così un pomo d’oro con sopra inciso «Alla più bella». Paride scelse la dea dell’amore.
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La scultura, vede Paolina semisdraiata su un’agrippina, ha il busto nudo, ma il resto del corpo coperto da un velo leggero. La composizione scultorea è impostata su diverse visuali, e ciascun punto di vista da nuove sfaccettature alla scultura,
tanto che Canova fece inserire nel legno su cui poggia la statua un ingranaggio per farla ruotare, in modo da poter osservare la statua da ogni angolazione. In base alla direzione che l’opera assume, varia la quantità di luce che la colpisce: determinando giochi di luce ed ombre sempre differenti.
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Danzatrice con cembali
è un’opera scultorea in marmo eseguita tra il 1809 e il 1814 e conservata nello Bode-Museum a Berlino.
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La danzatrice è colta nell’attimo di un elegante passo di danza, con le dita delle mani suona delicatamente i cembali.
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Il corpo è fermo sulla punta del piede sinistro, e proteso verso l’alto, la testa è abbassata sulla spalla. La leggera veste sembra seguire i movimenti della fanciulla,
e questo da un senso di movimento alla scultura, che rende lo spettatore partecipe, del totale abbandono della danzatrice alla musica.
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