L’alfabeto immaginario e artistico di Carla Accardi
Rubrica di Arte al Femminile
Scrivere di Carla Accardi equivale a calarsi nella sfera del possibile grazie alla sua capacità di scardinare ogni assioma, per dare vita ad un mondo segnico, arcaico, politico e femminista.
Il mondo antropologico e quello astratto nella realtà e nella sua arte, proprio come sosteneva lei, coesistono. Così come, in linguistica, langue e parole, il segno e il significato coesistono e sono necessari l’uno a all’altro.
La rivoluzione astratta di Carla Accardi comincerà nel 1923 a Trapani, sua città natale e a Palermo città in cui frequenterà l’Accademia delle Belle Arti e dove nel 1944 conobbe un giovanissimo Antonio Sanfilippo. Da lì a poco partirono insieme alla volta di Roma, città di grande fermento culturale e artistico dove conoscerà Pietro Consagra e Giulio Turcato. Proprio nello studio di Consagra, di proprietà Renato Guttuso, comincia a fermentare un sentire tutto nuovo che strizza l’occhio ai lavori di Klee, Kandisky e Pollock.
In questo clima di generosa condivisione, nel marzo dello stesso anno dà vita al Gruppo Forma 1(“Forma 1” s’intitolerà il primo e unico numero della rivista-manifesto, uscita il 15 aprile) con Attardi ( l’unica donna), Consagra, Dorazio, Guerrini, Perilli, Sanfilippo, Turcato. Il movimento s’inserì perfettamente nel pieno dibattito critico europeo e italiano sull’arte astratta, sostenendo per l’appunto l’arte astratta e aniconica rispetto all’arte figurativa. Nel manifesto del Gruppo Forma 1, gruppo di avanguardia di ispirazione marxista si dichiarano così: “Noi ci proclamiamo formalisti e marxisti, convinti che i termini marxismo e formalismo non siano inconciliabili”, si legge nel primo ed unico numero della rivista. Il linguaggio del Gruppo Forma 1 proponeva quindi un’arte strutturata e non realistica. Si dava importanza ad alcuni elementi del linguaggio quali la forma e il segno auto-referenziali e non significanti di contenuti simbolici o psicologici.


Il linguaggio di Forma 1 parla al nuovo sentire europeo tanto che a conferma di ciò, qualche anno dopo lo storico critico Michel Tapié pubblicò Un Art Autre, in cui immagina e in definitiva concretizza, l’idea di un’arte altra, astratta fatta di gesti e segni casuali. Il critico francese, infatti, inserisce la Accardi tra i protagonisti della sua teorizzazione dell’art autre, accanto a quello delle parallele situazioni internazionali e a Burri, Capogrossi e Fontana.
All’indomani del confitto mondiale, l’arte, che è tale perché frutto anche del contesto in cui nasce, cresce e si dona, non poteva che risentire e portare in spalla la brutalità e la disillusione tutta italiana. Allora, ripartire da zero, cancellare il conosciuto per guardare indietro ai segni primitivi e impulsivi, pareva essere l’unica soluzione per ricominciare veramente a vedere un futuro possibile.
Su questa scia la Accardi, compone le sue prime opere interessandosi alla forma, in cui il soggetto viene scomposto per dare vita ad un paesaggio frammentato. Ciò avviene proprio nella sua opera Scomposizione del 1947. Per dirla come farebbero i teorizzatori della Gestalt nelle sue prime opere “Il tutto è più della somma delle singole parti” cioè significa che la totalità del percepito grazie alla forma, la linea, al colore ed ai suoi contrasti, è caratterizzato non solo dalla somma dalle singole parti, ma da qualcosa di più che permette di comprendere la forma nella sua totalità.


Dopo la fine del rapporto tra Forma 1 e Il Partito Comunista, a causa della penna tagliente di Palmiro Togliatti, il quale criticò aspramente l’astrattismo definendolo scarabocchio, porterà ad un allontanamento definitivo tra l’Arte di Carla e la politica senza però mai rinunciare alla lotta.
Dopo la forma, il segno diventa protagonista indiscusso delle sue opere, tra le tante ricordiamo quella del 1962 Piccoli settori in cui il colore diventa preponderante grazie all’influenza della Pop Art americana dove compaiono lettere isolate, che l’artista inserisce nella tela come semplici segni pittorici con l’idea di creare un alfabeto immaginario volutamente incomprensibile.


Poliedrica sperimentatrice, Carla utilizza un nuovo supporto per le sue opere: il sicofoil, foglio di acetato trasparente usato per la prima volta in campo artistico in cui riesce a mettere a punto una tecnica pittorica luminosa e aderente alla materia trasparente. Materia, luce e colore si fondono così in un unicum.
Tenda rappresenta davvero un rifugio di luce con segni fucsia e verdi. A seguito di una lunga conversazione con Carla Lonzi, viene svelata la vera fonte dell’opera, pubblicata sulla rivista Autoritratto
“La tenda all’inizio voleva essere soltanto un gioco, un gioco dei miei segni sospesi nello spazio; è soltanto dopo, mentre la facevo, che mi si sono create tante altre suggestioni come contorno. […] La Tenda non è un oggetto, perché se avessi voluto fare un oggetto avrei dovuto farne uno un po’ curioso, un po’ inventato; no, per me la Tenda è una cosa ovvia, l’ho pensata come una estensione della pittura”.


Dopo la fondazione del Gruppo Rivolta Femminile e la successiva delusione, la Accardi si donerà totalmente all’arte ricevendo riconoscimenti nazionali come la sala a lei interamente dedicata nel 1988 alla Biennale di Venezia o alla mostra al Castello di Rivoli voluta da Germano Celant , fino a quelli internazionali del Musée de la Ville de Paris.
Morta nel 2014 nella sua storica casa di via Babuino a Roma, Carla è stata una donna libera e in lotta contro la società del tempo, ma soprattutto ha saputo godere di un’arte libera, immaginaria, ancestrale, mai banale e mai serva del sistema.
Così il segno è alle volte più libero, meno controllato, altre invece è più disegnato, più chiaramente delineato nella sua forma. D’altra parte la mia pittura non può arrestarsi su un problema, porlo e definirlo una volta per tutte. Mi piace ruotare attorno a questo problema, vederne le diverse, possibili soluzioni, essere coerente e, al tempo stesso, in grado di cambiare.