Il Grande Cretto di Alberto Burri


Alberto Burri nasce a Città di Castello il 12 marzo del 1915, da padre commerciante e mamma maestra elementare. Consegue la maturità classica, e nel 1934 all’università di Perugia si iscrive alla facoltà di medicina, laureandosi nel 1940. Si arruola come ufficiale medico, e fatto prigioniero a Tunisi, viene poi trasferito dagli americani in un campo di prigionia in Texas e ci rimane per 18 mesi. Alla visione delle atroci torture, ai corpi dilaniati, al martirio che la guerra infligge su ogni cosa, matura l’idea di dedicarsi alla pittura. Torna in Italia e lascia la professione medica per dedicarsi completamente all’arte.
L’opera e i materiali
L’arte è vista da Burri come una forma di riscatto, di resistenza e di sopravvivenza; rinuncia alla “bella pittura”, abbandona il colore ad olio e nel 1948 inizia la sperimentazione. Focalizza il suo interesse sulla vitalità organica della materia, utilizza materiali poveri inusuali come il catrame, la sabbia, gli smalti e li applica su supporti di varia natura, come il legno, il ferro, la plastica, il cellophane, la tela conferendo a questi una valenza esistenziale. Con il suo modo di fare arte elabora un nuovo linguaggio, che all’inizio è visto dalla critica e dal pubblico con scetticismo.
I sacchi di Burri, i tagli nella tela di Fontana e la merda d’artista di Manzoni, vengono accolti dalla critica e dal pubblico come l’ennesima provocazione. Li linguaggio che propone Burri sembra un pò estremo ma lui affronta le critiche con il silenzio.
I Sacchi
All’inizio degli anni ‘50 realizza il ciclo dei suoi celebri “Sacchi”. Questi pezzi di juta, cuciti tra loro, creano effetti cromatici e plastici, la sovrapposizione , gli squarci e il colore rosso che “sporca” quà e là diventa un rimando al sangue, alla carne ferita. Alla base delle sue opere oltre alla bellezza c’è la complessità del processo creativo.


La critica interpreta queste opere come una testimonianza di una profonda vita sofferta. Nel 1953 con le mostre di Chicago e New York arriva il grande successo internazionale; ma la grande sperimentazione continua, dopo i sacchi di juta, arrivano le efflorescenze prodotte dalla pietra pomice combinata con i colori ad olio, i gobbi creati dal rigonfiamento dei rami di legno collocati sul retro della tela portando lo spettatore a percepire la vita del materiale e con lei lo scorrere del tempo che lascia un inevitabile marchio sui supporti da lui utilizzati.


Le Plastiche
Gli interventi sui materiali diventano sempre più esasperati, quasi violenti rivolti alla distruzione. Questi nuovi esperimenti li troviamo nella serie delle Combustioni, del 1957. Il legno, la juta o la plastica, si piegano sotto il calore della sua fiamma ossidrica, i segni prodotti sono delle profonde lacerazioni, le stratificazioni della materia creano un significato spirituale, evocano il dolore urlato che sprofonda poi nel silenzio assordante restituendo un’idea concreta di dolore e morte.
Distruggere per ricreare, trasformare per consolidare il pensiero attraverso la materia. In tutta la sua opera è sempre più tangibile il tema della ferocia della guerra e dell’evento catastrofico prodotto dalla natura.
Alberto Burri viene così consacrato a capostipite dell’Arte Informale.


I Cretti
Burri non si ferma, siamo all’inizio degli anni ’70, nuovi materiali e supporti lo conducono a sperimentare e ad approcciare a nuove tecniche e a nuove opere: I Cretti. Favorevole sarà il riscontro con la critica.




Realizza superfici rettangolari di colore bianco che presentano crepe e fenditure. I materiali utilizzati sono bianco di zinco e colle viniliche che applicate su supporti subiscono un processo di asciugatura ed essiccamento creando così le fenditure. La poetica delle sue opere non è altro che l’ineluttabilità del trascorre del tempo. Il Grande Cretto o il Cretto di Gibellina Cretto: crepa, spaccatura o anche crepa intonacata. I lavori per la realizzazione di questo grande complesso artistico-naturalistico, iniziano nel 1985, al momento risulta essere la più grande idea di realizzazione al mondo inserita in una precisa ambientazione, 80.000 metri quadri. Il Grande Cretto entra nell’intento di Land Art che Burri ha modo di conoscere nel suo periodo americano. E’ una forma d’arte contemporanea nata negli Stati Uniti tra il ’67 e il ’68 e consiste nell’intervento diretto dell’artista sul territorio. Iniziano i lavori, le macerie vengono inglobate in grandi blocchi di cemento bianco. Il cemento arriva a comprire un’altezza di circa un metro e cinquanta. Questa sommità lascia intravedere gli spazi vuoti che un tempo erano le strade e permette di percepire l’intero spazio occupato una volta dalle costruzioni del paese. L’opera non è mai stata vista di buon grado dai vecchi abitanti del paese, molti pensavano che quell’idea potesse cancellare per sempre la memoria di un popolo, altri invece hanno saputo riconoscere la possibilità che diventasse lo scrigno forte e tangibile di una memoria indelebile. Le fratture viste dall’alto mostrano tutto il loro valore simbolico ed artistico in ricordo di un luogo da non dimenticare mai. Purtroppo nel 1989 per mancanza di fondi i lavori vengono interrotti; Burri non vedrà la sua opera concludersi, muore nella sua casa a Nizza nel febbraio del 1995. Nel 2015 l’opera è finalmente terminata. Il Grande Cretto o Cretto di Gibellina è una tra le opere d’Arte Contemporanea più estese al mondo. |