Cose che non sapevi su Keith Haring

Mi è sempre più chiaro che larte non è unattività elitaria riservata allapprezzamento di pochi: larte è per tutti e questo è il fine a cui voglio lavorare.

Questa è una delle più celebri citazioni di un grande artista della popular art contemporanea statunitense: Keith Haring.

Proprio in questi mesi abbiamo la grandissima fortuna di poter ammirare alcune tra le sue opere più famose esposte in una allettante mostra allestita nell’ Orangerie della Reggia di Monza. La mostra intitolata Radiant Vision raccoglie circa 130 opere provenienti da collezioni private tra litografie, serigrafie, disegni su carta e manifesti, ripercorrendo la carriera breve ma estremamente prolifica di uno dei più grandi artisti pop americani.

Haring pittore e writer con i suoi iconici “radiant baby” oramai presenti dappertutto, si è fatto sostenitore di alcune importanti lotte sociali che hanno caratterizzato la sua epoca, come i diritti civili, la lotta contro le discriminazioni nei confronti delle minoranze, campagne di sensibilizzazione contro l’uso del crack, oltre che al desiderio di portare nelle scuole temi importanti come l’educazione sessuale per evitare il trasmettersi di malattie. Epoca in cui l’AIDS e l’apartheid l’hanno fatta da padrone. Epoca in cui ebbe la genialità di rendere fruibile e accessibile l’arte a tutti, tramite la creazione del suo Pop Shop, un vero e proprio spazio commerciale da lui curato nel design, dove le opere venivano vendute anche alla simbolica cifra di 1 dollaro attraverso spillette e magliette iconiche. Epoca in cui scrivere su un manifesto della metropolitana diventa un vero e proprio stile di vita e un messaggio da diffondere a tutti, ma attenzione a non farlo se non siete Haring, pena la detenzione o la multa! Epoca in cui però la curiosità per questo personaggio cresce a dismisura superando barriere e pregiudizi sociali, un fertile terreno in cui l’arte diventa piattaforma attiva per il sociale e supporto ad uno sviluppo sempre più creativo delle giovani menti americane.

Ma vediamo più da vicino la sua storia e le curiosità legate alla sua persona.

Il famoso artista statunitense nasce il 4 maggio 1958 a New York. Il talento artistico è in lui già pienamente visibile fin da bambino spronato dal padre che aveva visto in lui delle grandi abilità. Iscritto dopo gli studi secondari all’Ivy School of Professional Art di Pittsburg, intraprende gli studi di grafica pubblicitaria per poi abbandonarli dopo appena due semestri. Il vero terreno fertile del giovane artista si scoprì essere in seguito, la strada. Il successo non arriva così immediato tanto che prima deve affrontare periodi di miseria accontentandosi di lavori saltuari che nonostante tutto gli permettono di coltivare la passione per la lettura e di poter entrare a contatto anche con una cerchia di intellettuali. È così infatti che nel 1977 conosce Pierre Alechinsky artista del movimento post cubista che in quell’anno esponeva a Pittsburg una sua personale mostra.

Ma l’incontro sicuramente più importante della sua vita si verifica nel 1979 quando conosce un grandissimo artista emergente di Brooklyn soprannominato tristemente il James Dean dell’Arte Moderna: Jean-Michel Basquiat, collaboratore tra le altre cose del grande Andy Warhol. Amicizia e sodalizio che Haring porta avanti fino alla morte del giovane artista avvenuta due anni prima della sua, stroncato a soli 28 anni, da un mix di droghe e tossicodipendenza.

Insieme i due giovani writer portarono avanti la grande arte del Graffitismo americano rendendo possibile la fruizione dell’opera d’arte a qualsiasi persona e soprattutto modernizzando e rivalutando questa corrente artistica a tal punto da portarla in mostra nelle più grandi gallerie d’arte mondiali. Due destini in qualche modo tristemente legati da una grande fama spenta troppo presto ma destinata a durare per l’eternità.

Le opere di Haring hanno il pregio di essere così assolutamente personali e lo spettatore ha il privilegio di poter dare la sua personale interpretazione. L’artista infatti, non spiega ne dà definizioni accurate alle opere che semplicemente devono essere interpretate e capite dal pubblico che diventa attore protagonista del processo creativo. Questo accade fin da subito, da quando nella metropolitana di New York Haring munito di gessetti bianchi è intento a decorare gli spazi pubblicitari lasciati liberi da pannelli neri. È lui stesso con le sue parole in una delle tante interviste a raccontarci di questa sua ascesa a partire proprio dalla Metropolitana luogo indiscusso di arte:

“Disegnavo da sempre e volevo continuare a farlo. Arrivato a New York sono stato fortemente attratto da quello che stava accadendo nelle strade e nella metropolitana. C’erano migliaia di ragazzi che scrivevano i loro nomi sui muri delle periferie e che riempivano i treni di vernici colorate e allo stesso tempo persone che lavoravano nella strada (soprattutto nel centro) con l’uso di posters e di manifesti, che mi colpirono anch’essi moltissimo. Per due anni sono stato molto attento a tutto ciò che stava accadendo, mi guardavo intorno e volevo trovare il modo per intervenire con l’uso del disegno all’interno di questa situazione. Fu quando mi accorsi di poter disegnare sui pannelli neri delle pubblicità scadute della metropolitana che iniziai in modo più diretto e continuo ad intervenire nella situazione. La scoperta del pannello nero é stata fantastica. Perché: per primo, il pannello nero è rettangolare ed è lo spazio ideale all’interno del quale disegnare, secondo, potevo usare il gesso bianco che ha il grosso vantaggio di poter essere facilmente cancellabile oltre che veloce nell’uso e di essere economico, lo portavo in tasca e con estrema rapidità potevo usarlo nel giro di pochi minuti in più punti della metropolitana; terzo, perché questi disegni fatti sui pannelli potevano essere visti da migliaia di persone che ogni giorno attraversano la metropolitana.”


“Ho cominciato a fare i disegni nella subway nell’estate dell’80. All’inizio, si trattava di una specie di gioco, come di un’intrusione, che consisteva nel disegnare un omino che correva tra gli altri graffiti, come se rincorresse o fosse rincorso dai nomi. Cominciai a disegnare sui pannelli neri tra il gennaio ed il febbraio 1981. In quel periodo intanto si andavano definendo i miei soggetti: omini, bambini raggianti, cani, televisori, etc. Disegni il più possibile di lettura semplice ed immediata per la gente che li vedeva. Le stesse persone potevano vedere e riconoscere quei simboli in più posti nel giro di pochi minuti. Questo cominciò a stimolarmi moltissimo e iniziai a pensare di creare una narrazione attraverso questi disegni. Un grosso stimolo alla proliferazione di immagini veniva anche dal fatto che continuamente pannelli venivano ricoperti ed io ero spinto a disegnare con la massima rapidità nuove storie e nuove idee sui nuovi pannelli.”


Sono gli anni 80 a rappresentare un punto di svolta nella sua carriera consacrandolo al panorama mondiale come uno dei maggiori artisti della storia. Nel 1981 viene infatti allestita una sua personale a New York al Westbeth Paintes Space e successivamente nell’82 nella galleria di Tony Shafrazi a Soho ormai diventato centro propulsore dell’arte di tutti i tempi e grande vetrina per qualsiasi artista degno di farne parte. Nell’89 realizza la sua ultima opera pubblica a Pisa: “Tuttomondo” un grande murale che diventa una sorta di progetto sociale in cui anche la popolazione è chiamata a partecipare in una sorta di Happening artistico con i giovani ragazzi muniti di bombolette chiamati a dipingere assieme a lui.

Il murale rappresenta la pace del mondo e la comunione tra uomo e natura.

Il giovane artista si spegne prematuramente a soli 31 anni nel 1990 dopo aver contratto l’AIDS. Quasi un beffardo dest

ino dopo aver tanto lottato contro tutto questo. Nonostante la giovane età lascia un patrimonio inestimabile che va capito, assimilato, studiato e soprattutto lascia in eredità una scia di positività, colore, immediatezza artistica che solo una geniale mente come la sua è stata in grado di concepire, inaugurando la stagione dell’arte alla portata di tutti, nel luogo in cui tutti possono finalmente esprimersi liberamente: la strada

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